Integrazione benchmarking


Nella dimostrazione proposta è possibile vedere in funzione un proiettore olografico che rappresenta l’interazione tra la terra ed alcuni satelliti artificiali che operano attorno ad essa. La tecnologia in questione, seppur nessiti di una elevata potenza di calcolo ed abbia costi sostenuti, può essere una risorsa interattiva, dando la possibilità di ricostruire fenomeni che possono essere studiati e mostrati a 360 gradi.


L’attrazione presentata al museo della BMW è chiamata kinetic sculpture e consiste in un macchinario integrato nell’ambiente che mediante dei fili metallici controlla l’altezza da terra di una serie di palline, che viste nel loro insieme descrivono nel tempo tre linee di automobili che hanno caratterizzato il marchio tedesco, sottolineando il processo creativo che le ha generate.


Planetarium V1.0 è un’applicazione disponibile per iPhone che propone un modello dell’universo conosciuto, lasciando libertà di movimento all’utente, che ha la possibilità di vagare per il cosmo a suo piacimento, ed evidenziando i rapporti tra un corpo celeste e l’altro, mostrando la dimensione temporale e le posizioni reciproche delle stelle dipendenti da questa.


Il museo laberinto ciencias y las artes mostra alcune attrattive che coinvolgono nell’apprendimento gli utenti mediante una interazione diretta e di natura ludica. La tipologia di approccio può risultare particolarmente indicata in casi in cui l’oggetto dell’esposizione appaia non di facile comprensione per tutti.

Commento: Myth of the Design Process – August de los Reyes

L’analisi del testo ha portato a sottolineare il dualismo tra i processi
progettuali definiti come “Big D” e “little d”.
Il cosiddetto fattore di rischio, che significa la perdita della certezza di
un risultato “più sicuro”, è il vero centro della discussione.
Quanto conviene innovare?
Sicuramente il nostro punto di vista è legato principalmente al
design, ci teniamo a rimarcare la linea che separa la parte di ricerca
dalla componente creativa del progetto.
L’ accettazione del fattore di rischio comporta in se anche la
possibilità di arrivare a soluzioni di natura innovativa, lungimirante,
orientate verso il futuro, senza che questo vada a discapito
dell’obbiettivo.
D’altro canto è accettabile pensare che i processi Little-d portino a
soluzioni che possono avere una durata di vita relativa, poiché la
stessa necessità rischia di ripresentarsi poco tempo dopo, esigente
d’innovazione.
In questo senso, acquisisce importanza la componente di ricerca,
intesa come il contesto di lavoro legato all’analisi delle possibilità
tecnologiche.
Riteniamo, in conclusione, che una buona ricerca potrebbe fornire la
possibilità di una evoluzione del processo little-d, solo partendo dalla
“tradizione” insomma, intesa come abitudine culturale, si può arrivare
all’innovazione.
D. Budroni, E. Serra, N. Vargiu.

Commento all’articolo “An Evolving Map of Design Practice and Design Research”



La mappa presentata da Liz Sanders nel suo articolo “An Evolving Map of Design Practice and Design Research” e da Dan Saffer nel libro “Design dell’Interazione”, mostra con molta chiarezza quelli che sono i vari schemi mentali e le metodologie di progetto che si seguono in fase di progettazione.

Ogni progettista può rivedersi in una o più delle categorie descritte dalla mappa, che ovviamente è e sarà in continuo mutamento per poter stare al passo con il susseguirsi di innovazioni a cui il nostro campo è soggetto.

Per esempio, seguendo l’esempio degli studenti dell’università di stato di design e ingegneria dell’Ohio, abbiamo provato anche noi a identificarci all’interno della mappa. In base alle nostre precedenti esperienze universitarie la collocazione che più si addice è la parte destra della mappa. Potendo scegliere però riteniamo che sarebbe molto più interessante e produttivo, per la propria crescita personale e del progetto stesso, avere un rapporto più partecipatorio con quelli che saranno i futuri utenti dei nostri prodotti.

La lettura ha stimolato in noi una riflessione sul nostro ruolo di progettisti, o meglio, non tanto sul ruolo, che rimane sempre quello di trovare soluzioni a dei problemi ma anche alla progettazione di un “bello/utile”, bello perché utile e viceversa, sposando in questo modo una sorta di “manifesto” non scritto del ruolo del design in quest’epoca; ma abbiamo riflettuto sul metodo: la domanda che ci siamo posti è “dobbiamo progettare stimoli che portino al cambiamento o cercare stimoli che portino un cambiamento progettato?”. Come abbiamo potuto constatare dalla nostra esperienza avere un contatto partecipativo con il cliente è sempre un forte stimolo per il progettista, ma è anche vero che nella fase di progettazione il designer chiede al cliente di dare dei giudizi, di porre dei problemi e tutto a seconda delle propria esperienza, non condividendo con lui alcuni ragionamenti già fatti, per evitare di indirizzare troppo il cliente verso delle scelte non troppo approfondite che falserebbero l’esperienza stessa. In questo modo il designer si pone in un’altra posizione rispetto al cliente, in quanto quest’ultimo non è completamente inserito nella progettazione. E’ vero che l’utente può essere in alcuni casi considerato esperto,e quindi la collaborazione professionale è importante al fine del progetto ma il designer avrà comunque una posizione di visione generale. La verità probabilmente sta nel mezzo, un buon designer dovrebbe essere in grado di sapersi muovere , in base alle situazioni, nei diversi settori della  mappa.

Dovrà essere in grado di poter sfruttare le diverse zone della mappa per affrontare i propri progetti e stabilire con il tempo e con l’esperienze quale sia il campo o la zona dove secondo lui si lavoro meglio o quello che più si addice al lavoro da svolgere.

L’esperienza sta nel sperimentare tutti i metodi di progettazione e acquisirne il massimo da essi per poterne poi utilizzare durante la progettazione.

Erica Floris, Matteo Pilloni, Andrea Ruggiu.

Benchmarking

MUSEO SENSORIALE

Il museo dei sensi si configura come una banca dati di esperienze sensoriali che serviranno da base per fruizioni interattive in contesti di eventi artistici che si terranno nell’area sassi lungo i “percorsi sensoriali”. In tale ottica il museo dei sensi funge da centro nevralgico dal quale si diramano connessioni che informano e danno “senso” ai percorsi…individuati..nell’area.
(da www.laboratoriodiarchitettura.org)

Il museo sensoriale permette al visitatore, tramite l’utilizzo di spazi interattivi, database sonori e approcci visivi e narrativi, di intensificare la sua esperienza immergendolo totalmente nel contesto dell’ambiente che il museo espone.

VIRTUAL TOUR

(da http://www.minieragambatesa.it/)

Il Virtual Tour è una rappresentazione scenografica di forte impatto visivo che ti permette di collegare fotografie
panoramiche a 360°ad alta definizione consentendo di visualizzare attraverso un potente zoom anche i dettagli più minimi.

I Virtual Tour sono utili a promuovere e valorizzare un ambiente.

L’utente attraverso l’uso del mouse può interagire con la fotografia e visitare gli ambienti a 360° come se si trovasse fisicamente all’interno, assumendo una posizione da protagonista, potendo scegliere lui stesso,in tempo reale, il percorso di navigazione preferito, assecondando quindi i propri gusti e gestendosi la visita del tour virtuale a seconda del tempo a disposizione.

LINEA DEL TEMPO INTERATTIVA

si tratta di un sistema che permette alle persone di interagire con la storia stessa del posto che si sta visitando. nel caso segnalato vediamo La linea del tempo applicata al museo BMW, ma pensiamo che sia facilmente applicabile anche ad una realtà museale come quella del parco geominerario, la cui storia è strettamente legata alle immagini, ma anche ad una continuità temporale che scandisce in momenti ben precisi una storia fatta di lotte dei minatori di conquiste, ma anche di opportunità come la nascita della miniera stessa.

INTERACTION DESIGN FIELD TRIP

Un muro che ha qualcosa da raccontare, parole che diventano immagini e che interagiscono con i movimenti delle persone che hanno di fronte, ma non solo, il muro chiede al suo “interlocutore” di fare determinati movimenti per far andare avanti la storia, per far salire il vento per esempio. Applicato al nostro Parco geominerario, potrebbe chiedere ai visitatori di simulare gesti tipici del lavoro in miniera, un gesto per l’estrazione del carbone per esempio..per poi mostrare il minerale nelle sue caratteristiche. insomma un altro modo per far entrare l’utente ancora di più nella storia del posto che sta visitando, che lo renda talmente partecipe da chiedergli di “scavare” per saperne di più. Un modo intelligente per rendere più piacevola la visita anche ai più giovani che magari si sentirebbero più coinvolti che nel semplice guardare.

THE MARIAN KOSHLAND SCIENCE MUSEUM  (Washington, D.C.)

Dedicato all’immunologa Marian Koshland, pioniera degli studi sugli anticorpi, il museo dell’Accademia delle scienze
statunitense di Washington ha la specifica missione di COINVOLGERE i propri spettatori nelle questioni scientifiche
più rilevanti del momento attuale, dal riscaldamento climatico sulla Terra alle tecnologie genetiche. Interessante esempio di museo che ha studiato un modo alternativo per vivere “l’esperienza” museo servendosi di una tecnologia che come dicono loro stessi è servita per riavviccinare i giovani ad una materia che non gode di grande interesse comune, la stessa capacità di condividere informazioni tramite l’interazione con immagini può essere un ottimo spunto anche per il parco geominerario.

Da non sottovalutare anche le possibilità che dà il sito del museo (http://www.koshland-science-museum.org/exhibits/index.jsp) di vivere esperienze simili on line che può certamente incuriosire possibili futuri spettatori portandoli in seguido a visitare il parco (un’ottima trovata di marketing).

http://www.youtube.com/watch?v=WlnBULQmZTk :

eMotion: mapping museum experience, France 24 ‐ Le Journal de la Culture.

Il programma chiamato eMotion è un sistema che sperimenta l’efficacia del rapporto che l’utente ha con gli spazi espositivi che esplora. A tutti i visitatori degli ambienti, viene consegnato un guanto che, una volta indossato, comunica costantemente con una centralina le informazioni relative allo stato emotivo dell’utente, (come per esempio frequenza cardiaca o pressione sanguigna), ed alla sua posizione.

Ciò che ne risulta è un tracciato cartaceo che viene consegnato come ricordo della visita agli utenti, e che relaziona l’emozione vissuta alla posizione nella quale si è manifestata. Tutti i dati vengono immagazzinati, e confrontati tra loro giornalmente, fornendo informazioni dettagliate sulla maniera più funzionale nella quale disporre gli oggetti all’interno degli spazi espositivi, migliorando l’esperienza di servizio offerta.

 

http://www.youtube.com/watch?v=RxSb4tjdTPk :

Augmented Reality Museum Experience (metaio and Louvre‐DNP Museum Lab) ‐ realtà aumentata e percorsi interattivi.

In collaborazione con il museo del Louvre, la DNP Museum Lab sperimenta l’interazione tra utente ed informazioni negli spazi museali, per mezzo della realtà aumentata. Gli utenti vegono lasciati liberi di girare per il museo con dei supporti Pad, che, in tempo reale, comunicano informazioni su ciò che l’utente osserva grazie alle loro riprese. Il sistema integra la realtà mostrata dalla camera del Pad, con alcuni oggetti 3D che illustrano e commentano le situazioni riprese. La realtà aumentata è dunque in grado di relazionare con gli oggetti ripresi, alcuni elementi informativi, di interazione o di supporto. Si prenda ad esempio un vaso Fenicio, datato e parzialmente completo: si potrebbe ricostruirlo interamente in 3D e presentarlo al pubblico sia nelle condizioni attuali, sia nel pieno del suo antico splendore, grazie al “layer aggiuntivo” della realtà aumentata.

 

Erica Floris, Andrea Ruggiu, Matteo Pilloni, Dario Budroni, Nicola Vargiu, Emanuel Serra

COMMENTO ALL’ARTICOLO “The Computer for the 21st Century” di Mark Weiser

Il futuro immaginato da Mark Weiser non è poi così lontano da ciò che è possibile trovare sul mercato odierno.

Verso la metà dello scorso anno per esempio, navigando in rete, era già possibile imbattersi in un progetto portato avanti da Microsoft, allora chiamato Natal Project, che prometteva di implementare le potenzialità della console X-Box, con un sistema di grado di sostituire il comune joypad wireless, che ha contribuito a rendere famoso il prodotto della casa americana. Il sistema, che prevedeva l’eliminazione del controller, proponeva un’interazione più diretta con l’utente.

La X-Box Kinect, questo è il nome con cui il sistema è stato presentato al pubblico, è uscita qualche mese fa, ma, in casa Gates, hanno pensato bene, per motivi probabilmente legati alle strategie di promozione del prodotto, di non scoprirne da subito le reali potenzialità.

I video che illustravano il concept, non solo mostravano la possibilità di controllare le interfacce e la loro applicazione esclusivamente con l’uso del corpo, senza mediatori, il che è già di per se profondamente innovativo, ma promuovevano una sorta di intelligenza della console, che non si limita a capire come l’utente si muove di fronte allo schermo, ma è addirittura in grado di stabilirne l’identità. Un risultato tanto sorprendente non è frutto di una tecnologia così aliena come si può pensare : – Diamogli occhi ed orecchie-, deve aver suggerito qualcuno.

Si riduce tutto a questo. Qualche telecamera ed un microfono molto sensibile.

Quando la console sente una voce, inizia una rapida ricerca, con l’intento di confrontarne le caratteristiche con una serie di voci a lei note, acquisite durante la sua attività. Le telecamere scansionano le aree del volto dell’utente corrispondenti a bocca, occhi e sopracciglia, alla ricerca di uno schema espressivo. Il risultato:

– “Buongiorno Marco, mi sembri di buon umore oggi….”

Qualche anno fa la casa automobilistica Toyota ha presentato una versione dell’ utilitaria Yaris priva di chiavi.

La centralina dell’auto interagisce mediante bluetooth con una scheda, grande più o meno quanto un bancomat, che il proprietario può comodamente portare nella tasca dei pantaloni, o nel portafogli. Quando la periferica viene rilevata all’interno di un certo raggio, la vettura diviene accessibile ed utilizzabile.

Pare proprio che le tecnologie semplici ma sfruttate con intelligenza, insomma, giochino un ruolo realmente importante nell’ottica del sistema nel quale sono inserite.

I servizi descritti da Weiss operano in una condizione di costante comunicazione ed interazione gli uni con gli altri, rendendo le informazioni accessibili da più utenti che, sfruttando la rete, aumentano in maniera esponenziale l’attività del sistema.

La discussione di gruppo ha soprattutto messo in luce gli aspetti morali di una condivisione su larga scala di qualsiasi informazione. Si distacca  dall’essere un giudizio sull’utilità o meno degli esempi portati da Weiss, ma vuole essere piuttosto una riflessione sulle dinamiche comunicative e sulla riservatezza dei dati messi in rete e condivisi che perdono la fisicità alla quale, per sua natura, l’uomo è legato.

L’utilizzo massivo di una qualsiasi tecnologia deve anche considerare le conseguenze sociali che questa comporta. Significa che le modalità di utilizzo, gli scopi e la reale esigenza di un sistema devono necessariamente essere affidati all’intelligenza ed al buonsenso della società o dei contesti alla quale questo viene offerto.

Gli aspetti legati alla grossa quantità di dati, anche personali, disponibili in rete, considerati anche da Weiss, mettono in luce i problemi della loro salvaguardia.

Ultimamente ha avuto forte rilevanza mediatica il caso riguardante l’applicazione del browser Firefox chiamata Firesheep (http://www.repubblica.it/tecnologia/2010/11/01/news/firesheep-8501951/), che permette di tracciare il percorso dei cookies dando la possibilità di recuperare password, non solo di reti Wi-Fi, ma di qualsiasi social network o di molti siti (come Amazon o Google), rendendo accessibili le informazioni ad essi correlati.

Oltre a questo, la distribuzione pubblica di informazioni concorre a creare un profilo completo di una persona, il che può avere lati positivi e negativi (si consideri per esempio la rilevanza che possono avere informazioni riguardanti aspetti negativi per un politico).

In un recente articolo del settimanale “il Venerdì di Repubblica” (19/11/2010 ”E-dentità, quanto costa rifarsi una reputazione distrutta dal web” di Jaime D’Alessandro), viene analizzato questo problema, sottolineando la nuova esigenza degli utenti di avere cura di ciò che può essere considerata “l’ opinione” della rete. Questa situazione ha generato una nuova figura lavorativa, nata negli Stati Uniti, che si occupa di migliorare tale opinione a proposito dei propri clienti, non immettendo nel web notizie positive fasulle (il che sarebbe illegale), bensì diffondendo (tramite blog, forum e social network), in maniera massiccia, notizie (vere) positive sull’utente.

In conclusione, tenendo conto dei miglioramenti che andranno apportati alla sicurezza delle informazioni, se le attività e gli sviluppi legati alle tecnologie non sostituiranno il vivere quotidiano, ma diventeranno un supporto ad esso, si avrà un sicuro contributo ad un miglioramento della vita comune.

 

Dario Budroni, Emanuel Serra, Nicola Vargiu.

commento all’articolo “Il dissolversi dell’interfaccia”

Le considerazioni sviluppate dopo la lettura e l’analisi dell’articolo ci hanno portato a discutere di un aspetto che pensiamo sia rilevante, il ruolo che le macchine acquistano nella vita di tutti i giorni . La concezione attuale è quella che lega le macchine ad un aiuto nei passaggi troppo lunghi e/o complicati del quotidiano, emblematico è l’uso dei sistemi di comunicazione:  possiamo comunicare con tutti, ovunque ci troviamo, ma possiamo anche visitare posti lontani stando comodamente seduti nel nostro divano di casa. L’avanzamento delle ricerche e delle sperimentazioni sulle interfacce stanno trasformando questi aiuti in parti integranti delle nostre decisioni, sempre più piccoli e quindi sempre più invisibili fisicamente, interagiranno con il fare quotidiano fino ad eliminare lo sforzo della scelta. Il progettista dell’interfaccia sarà sempre più attento a capire i piccoli aspetti in cui l’interfaccia non agisce, per migliorarla, mentre l’utilizzatore sarà sempre più pigro nel cercare soluzioni che la macchina può trovare per lui. In ogni caso l’utente è parte integrante della ricerca perché , anche in maniera indiretta, decide cosa è utile e osa non lo è. Cambierà il modo di interagire con le cose che ci circondano, non sarà più necessario schiacciare il tasto play dello stereo per ascoltare un po’ di musica, ma ci sarà un sistema che lo farà per noi.

Andrea Ruggiu, Matteo Pilloni, Erica Floris

Blog di IxD

blog creato per il corso di interaction design dal gruppo composto da:

Erica Floris, Andrea Ruggiu, Dario Budroni, Emanuel Serra, Matteo Pilloni, Nicola Vargiu